11 giugno 2015

Compravendita senza notaio

L’articolo 29 del ddl Concorrenza consente anche agli avvocati, non più solo ai notai, l’autenticazione degli atti e delle dichiarazioni di cessione o donazione di immobili a uso non abitativo di valore catastale fino a 100mila euro. Enrico Maria Sironi, consigliere nazionale del Notariato, ha spiegato a Idealista news quali sono le criticità e perché l'intervento rischia non solo di non tutelare i cittadini, ma anche di tradursi in un costo sociale.
Qual è la posizione dei notai in merito a quanto previsto dal ddl Concorrenza sulla vendita degli immobili?
Continuiamo a pensare che non si tratti di una misura di concorrenza. Nel testo della proposta di legge, anche nella versione depositata in Parlamento, manca l’elemento centrale dell’intervento notarile. A tal proposito, bisogna ricordare che il notaio non è un semplice professionista. E’, innanzitutto, un pubblico ufficiale ed è quindi un soggetto al quale lo Stato delega la verifica preventiva di legittimità degli atti. Questo vuol dire che il notaio non si limita ad autenticare la firma, ma deve verificare che il contratto oltre che corrispondere agli interessi delle parti sia concorde all’ordinamento. Questa funzione manca completamente nella previsione del ddl Concorrenza per quanto riguarda l’eventuale intervento degli avvocati.
Questo che significa?
L’avvocato è senza dubbio giuridicamente preparato, ma la legge non gli impone la verifica preventiva di legittimità degli atti. Al contrario, la funzione notarile è proprio quella di controllare il contenuto dell’atto e di verificare che corrisponda a quello che vuole l’ordinamento. Questo è il fulcro dell’attività notarile e ciò manca completamente. Così come manca completamente anche il dovere che c’è per il notaio – e che invece in questa proposta viene espressamente escluso per l’avvocato – di effettuare prima dell’atto le visure ipotecarie e catastali e quindi le verifiche preventive sulla titolarità di chi vende e sulla libertà dell’immobile da ipoteche o da altri problemi. Un compito che viene lasciato al cittadino. Se dovesse passare questa impostazione, ne nascerebbe un costo sociale.
Per quale ragione?
La scelta di fondo è: lo Stato si accontenta del fatto che le parti si mettano d’accordo tra loro oppure vuole garantire il mercato? Questo è il tema: garantire il mercato. La mancata garanzia del mercato si traduce inevitabilmente in un costo sociale perché vuol dire andare verso un contenzioso più alto; vuol dire che il notaio perde il controllo – per esempio – sulla regolarità edilizia, perché non c’è nessuno tenuto a svolgere questo controllo; vuol dire che andiamo a fare la riforma del catasto perdendo il controllo sul catasto, perché non c’è nessuno tenuto a fare i controlli che oggi deve fare il notaio e a mettere insieme un sistema efficiente.
E’ davvero efficiente l’attuale sistema?
Sì. Basta pensare che il contenzioso immobiliare in Italia è pari allo 0,003%, mentre negli Stati Uniti, dove non c’è la figura del notaio, è pari al 19%. Si tratta di due dati clamorosi. Tenendo comunque conto del fatto che negli Stati Uniti il contenzioso si risolve nel giro di poche settimane, mentre in Italia i tempi della giustizia civile sono considerevolmente più lunghi, si parla di anni. Con questa nuova norma, il rischio è che vadano ad aumentare le liti e che tutto questo si traduca in costi, proprio in ragione del fatto che verrebbe a mancare qualcuno tenuto a svolgere i controlli. Andremmo quindi a spostare sullo Stato i costi sociali di un presunto risparmio.
Perché parla di un “presunto risparmio”?
A confermare che si tratta di un presunto risparmio ci sono i numeri: per la compravendita di una autorimessa di 50mila euro l’onorario del notaio si aggira sui 900/950 euro. Quanto costerebbe un avvocato? Innanzitutto, bisogna tener presente che i professionisti coinvolti diventeranno due, perché ognuno vorrà sentire il proprio legale. E già questo, secondo me, porterà inevitabilmente a un aumento dei costi.
Poi ci sono le visure ipotecarie e catastali che il notaio fa e che sono comprese nella parcella e che l’avvocato non deve fare. Tali visure hanno un costo medio che va dai 200 ai 300 euro. Quindi, se dai 950 euro del costo del notaio si tolgono i 200 euro del costo delle visure si scende a 750 euro. Considerando questa cifra e pensando che ad intervenire sono due professionisti e non uno, significa che ciascuno prende 375 euro. A questo punto, la domanda è: può davvero verificarsi qualcosa di questo tipo e il cittadino può realmente risparmiare con questa riforma? La verità è che il cittadino non va a risparmiare e che i rischi per il sistema sono elevatissimi. Probabilmente, quindi, o c’è un errore di visione oppure si vuole semplicemente cambiare il nostro sistema.
E, a suo avviso, non c'è una motivazione logica...
Guardando la cosa nella sua oggettività non se ne vede quale sia la ragione e l’utilità. La Banca Mondiale, con il rapporto “Doing Business”, ha inserito l’Italia nella fascia alta all’interno della classifica sul mercato immobiliare. Quello in cui operiamo è un settore che indiscutibilmente funziona, perché dunque cambiarlo? Sapendo, tra l’altro, che andiamo non certamente verso un risparmio dei costi, ma verso l’assunzione certa di rischi di sistema. E’ una cosa che oggettivamente non si capisce. D’altra parte, su questa questione sono scese in campo le associazioni dei consumatori, sostenendo che tale proposta è inconcepibile. Sottolineo, inoltre, che questa normativa immobiliare non è assolutamente compresa nella segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, ciò dimostra che non è un tema di concorrenza.
La figura del notaio, dunque, rimane centrale...
Negli Stati Uniti è stato calcolato che in questi ultimi anni, con la questione dei subprime e tutto ciò che ne è conseguito, 4 milioni di abitazioni sono state sottratte a chi le aveva acquistate perché c’era proprio una carenza nel controllo della titolarità in capo al venditore e della libertà da ipoteche. Quindi, 4 milioni di abitazioni sono state espropriate ai cittadini in quanto acquistate incautamente. Il premio Nobel dell’economia 2013, Robert Shiller, ha scritto un libro proprio affermando che se in America ci fosse stata la figura del notaio come c’è in Italia e in altri 87 Paesi nel mondo la crisi dei subprime probabilmente non ci sarebbe stata.
Articolo visto su: idealista.it
10-06-2015



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Calcolo IMU e TASI

Il 16 giugno è il termine ultimo per il pagamento della prima rata di Imu e Tasi. La modalità di calcolo è la stessa per le due imposte: si parte infatti dalla base imponibile, ovvero la rendita catastale, rivalutata con l'opportuno coefficiente, a cui si applicano però le differenti aliquote decise dai Comuni.
Aliquota massima Imu e Tasi
Tanto si parla delle differenti aliquote di Tasi e Imu, espresse in millesimi e che arrivano a un massimo del 3,3 per mille (Tasi prima casa) e 10,6 per mille (Imu). La normativa che aveva istituito la tassa sui servizi indivisibili aveva stabilito che la somma tra le due, però, non poteva superare il massimo della preesistente aliquota dell’imposta municipale unica. Ovvero, se devono essere pagate entrambe e l’Imu vigente nel comune di residenza dovesse essere al massimo, la Tasi dovrebbe essere annullata.
Attualmente non è così, per via di un decreto legge che ha innalzato il massimo esborso all’11,4 per mille. Si può sforare, dunque, di uno 0,8% rispetto all’aliquota massima dell’Imu.
Base imponibile Imu e Tasi 2015
Ma a cosa occorre applicare tali aliquote? La base imponibile per i due adempimenti fiscali è la medesima. La partenza, dunque, è la rendita catastale. Ripescata sul contratto di acquisto, occorre  rivalutarla poi del 5 per cento. Il risultato va moltiplicato per un coefficiente che varia in base al tipo di immobile.
Coefficienti rivalutazione immobili
Per i fabbricati di gruppo A (abitazioni), esclusa la categoria A/10 (uffici e studi privati), e i fabbricati di categoria C/2 (magazzini e locali di deposito) , C/6 (stalle, scuderie, rimesse ed autorimesse senza fini di lucro) e C/7 (tettoie), il coefficiente è pari a 160.
Per i fabbricati di categoria B (tra i quali case di cura senza fini di lucro e uffici pubblici) e i fabbricati di categoria C/3 (laboratori per arti e mestieri), C/4 (fabbricati e locali per esercizi sportivi senza fini di lucro) e C/5 stabilimenti balneari e di acque curative senza fini di lucro, il coefficiente è pari a 140.
Per i fabbricati di categoria D/5 (istituti di credito, cambio e assicurazione) e A/10, il coefficiente è 80.
Per i fabbricati di categoria D (D5 esclusi), che vanno dagli opifici alle sale cinematografiche, il coefficiente è 65. Pari a 65 è, invece, per i fabbricati di categoria C/1.
Aliquote e detrazioni
Sui valori così ottenuti vanno applicate le aliquote dovute in base al comune nel quale si trova l’immobile. Diversi per ogni comune sono anche i sistemi di detrazione, che possono tener conto del reddito, della presenza di figli a carico ed essere scaglionate a seconda della rendita catastale. Oppure combinare due o tutti e tre gli elementi. Se l’amministrazione municipale non ha provveduto a emettere delibere variando i parametri, si può semplicemente dividere per due quanto si è pagato nel 2014, per quanto concerne l’acconto. L’aggiornamento potrebbe comunque arrivare prima del conguaglio: i comuni hanno tempo fino al 21 ottobre.
Sempre che non sia variata la propria condizione per l’accesso alle detrazioni. O a meno che non si sia entrati in possesso dell’immobile ad anno in corso. In questo caso bisognerà frazionare gli importi in dodicesimi e farsi carico di quelli nel periodo in cui si è goduto dell’immobile. In parte, per quanto riguarda la Tasi,  anche se si è affittuari. Questi ultimi, infatti, sono tenuti a partecipare con una quota che va dal 10 al 30 per cento, a seconda del comune.
Fonte: idealista.it

11-06-2015

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