Per la costituzione del condominio non assume rilievo il
numero dei condomini, che il Codice civile prende in considerazione solo per
determinare i casi in cui è obbligatorio dotarsi di un regolamento o nominare
un amministratore.
Dunque,
è ben possibile configurare una situazione di condominio in presenza di due
soli partecipanti (c.d. condominio minimo), fattispecie pacificamente
riconosciuta in dottrina e giurisprudenza. Più complessa si presenta invece la
questione della normativa da applicare.
Ci si chiede, in altri termini, se il condominio minimo rientri nel campo di
applicazione delle norme sul condominio o in quello della comunione in
generale.
Secondo
un primo orientamento, alla fattispecie in esame si applicherebbe la disciplina generale della comunione:
in presenza di due soli partecipanti non si può parlare di condominio, in
quanto risulta impossibile formare le maggioranze richieste dalle legge per il
governo delle parti comuni e, di conseguenza, non risulta applicabile l'art.
1136 c.c. per tutto ciò che riguarda il funzionamento dell'assemblea. La giurisprudenza più recente, invece, ha
affermato che la destinazione funzionale delle parti comuni dell'edificio al
servizio delle proprietà esclusive esiste in modo identico in tutte le
possibili ipotesi condominiali, indipendentemente dal numero dei partecipanti,
per cui non vi è motivo di disattendere la normativa condominiale anche nel
caso di due soli condomini.
Invero,
è stato osservato che i problemi legati all'impossibilità per l'assemblea di
deliberare a maggioranza possono verificarsi anche nei condomini con un numero
di partecipanti superiore a due, come nel caso, ad esempio, di condominii in
cui potrebbero precostituirsi delle fazioni contrapposte di eguale
partecipazione numerica e rappresentanza millesimale. Ne consegue
l'applicazione degli artt. 1117 c.c. e ss. anche al c.d. condominio minimo, con
la sola esclusione dell'applicabilità
delle c.d. norme procedimentali (cioè di quelli relative al funzionamento
dell'assemblea). Per queste ultime, opera il rinvio ex art. 1139 c.c., con
applicazione delle norme dettate per la comunione generale (in particolare gli
artt. 1104, 1105, 1106 c.c.) (Cass. civ., 26.5.1993, n. 5914).
Negli
anni 2000 la Corte di Cassazione è intervenuta in maniera più netta
sull'argomento precisando che nel caso di condominio composto da soli due
partecipanti le spese necessarie alla conservazione o alla riparazione della
cosa comune devono essere oggetto di regolare delibera, adottata previa rituale
convocazione dell'assemblea dei condomini, della quale non costituisce valido
equipollente il mero avvertimento o la mera comunicazione all'altro condomino
della necessità di procedere a determinati lavori. Il principio della
preventiva convocazione e successiva deliberazione dell'assemblea può essere
derogato solo se vi sono ragioni di particolare urgenza (Cass. civ., 3.7.2000,
n. 8876).
Tale
orientamento è stato da ultimo confermato dalle Sezioni Unite con la sentenza 30 gennaio 2006 n, 2046. Intervenendo
a dirimere il contrasto giurisprudenziale formatosi in materia, il supremo
Consesso ha stabilito che la
disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova
applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio
composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che
regolamentano la sua organizzazione interna, non rappresentando un ostacolo
l'impossibilità di applicare, in tema di funzionamento dell'assemblea, il
principio maggioritario, atteso che nessuna norma vieta che le decisioni
vengano assunte con un criterio diverso, nella specie all'unanimità, quanto, a
fortiori, con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive
dei partecipanti, tra cui quella che disciplina il diritto al rimborso delle
spese fatte per la conservazione delle cose comuni (Cass. civ., S.U.,
30/01/2006, n. 2046. Conforme, Cass. civ. 03/04/2012, n. 5288).
Fonte:
condominioweb.com
07-07-2015
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