7 luglio 2015

Condominio minimo

Per la costituzione del condominio non assume rilievo il numero dei condomini, che il Codice civile prende in considerazione solo per determinare i casi in cui è obbligatorio dotarsi di un regolamento o nominare un amministratore.
Dunque, è ben possibile configurare una situazione di condominio in presenza di due soli partecipanti (c.d. condominio minimo), fattispecie pacificamente riconosciuta in dottrina e giurisprudenza. Più complessa si presenta invece la questione della normativa da applicare. Ci si chiede, in altri termini, se il condominio minimo rientri nel campo di applicazione delle norme sul condominio o in quello della comunione in generale.
Secondo un primo orientamento, alla fattispecie in esame si applicherebbe la disciplina generale della comunione: in presenza di due soli partecipanti non si può parlare di condominio, in quanto risulta impossibile formare le maggioranze richieste dalle legge per il governo delle parti comuni e, di conseguenza, non risulta applicabile l'art. 1136 c.c. per tutto ciò che riguarda il funzionamento dell'assemblea. La giurisprudenza più recente, invece, ha affermato che la destinazione funzionale delle parti comuni dell'edificio al servizio delle proprietà esclusive esiste in modo identico in tutte le possibili ipotesi condominiali, indipendentemente dal numero dei partecipanti, per cui non vi è motivo di disattendere la normativa condominiale anche nel caso di due soli condomini.
Invero, è stato osservato che i problemi legati all'impossibilità per l'assemblea di deliberare a maggioranza possono verificarsi anche nei condomini con un numero di partecipanti superiore a due, come nel caso, ad esempio, di condominii in cui potrebbero precostituirsi delle fazioni contrapposte di eguale partecipazione numerica e rappresentanza millesimale. Ne consegue l'applicazione degli artt. 1117 c.c. e ss. anche al c.d. condominio minimo, con la sola esclusione dell'applicabilità delle c.d. norme procedimentali (cioè di quelli relative al funzionamento dell'assemblea). Per queste ultime, opera il rinvio ex art. 1139 c.c., con applicazione delle norme dettate per la comunione generale (in particolare gli artt. 1104, 1105, 1106 c.c.) (Cass. civ., 26.5.1993, n. 5914).
Negli anni 2000 la Corte di Cassazione è intervenuta in maniera più netta sull'argomento precisando che nel caso di condominio composto da soli due partecipanti le spese necessarie alla conservazione o alla riparazione della cosa comune devono essere oggetto di regolare delibera, adottata previa rituale convocazione dell'assemblea dei condomini, della quale non costituisce valido equipollente il mero avvertimento o la mera comunicazione all'altro condomino della necessità di procedere a determinati lavori. Il principio della preventiva convocazione e successiva deliberazione dell'assemblea può essere derogato solo se vi sono ragioni di particolare urgenza (Cass. civ., 3.7.2000, n. 8876).
Tale orientamento è stato da ultimo confermato dalle Sezioni Unite con la sentenza 30 gennaio 2006 n, 2046. Intervenendo a dirimere il contrasto giurisprudenziale formatosi in materia, il supremo Consesso ha stabilito che la disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, non rappresentando un ostacolo l'impossibilità di applicare, in tema di funzionamento dell'assemblea, il principio maggioritario, atteso che nessuna norma vieta che le decisioni vengano assunte con un criterio diverso, nella specie all'unanimità, quanto, a fortiori, con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti, tra cui quella che disciplina il diritto al rimborso delle spese fatte per la conservazione delle cose comuni (Cass. civ., S.U., 30/01/2006, n. 2046. Conforme, Cass. civ. 03/04/2012, n. 5288).
Fonte: condominioweb.com

07-07-2015


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